by Vito
Campanelli
Boiler ha incontrato l’ [epidemiC] crew a Campobasso in
occasione del festival “digital-is-not-analog 2002”. Nato in
Italia all'inizio del 2001, [EpidemiC] è probabilmente l'unico
gruppo europeo che lavora esplicitamente sul potenziale
estetico del virus informatico. Composto da
artisti/programmatori e programmatori/artisti, i progetti di
[EpidemiC] lavorano sullo sviluppo estetico del codice
sorgente, ossia di quel testo che dispone e programma la
esecutività di un virus. Alla radice della loro ricerca,
l'esigenza spiazzante di sovvertire le prospettive
tradizionali sul virus informatico e giocare con la presunta
trasparenza della comunicazione digitale.
I progetti
di [EpidemiC] sono stati presentati di recente a
manifestazioni internazionali come la Biennale di Venezia, la
Biennale di Valencia e il Museo di Arti Applicate di
Francoforte. Alla radice della ricerca di [epidemiC] c’è lo
sviluppo estetico del codice sorgente dei virus informatici.
Quale è il motivo di questa scelta?
Il digitale non è una “novità”, conta almeno 40 anni di
storia. La questione era questa: ”può la programmazione, la
scrittura di codice, essere considerata una forma di arte
nativa della cultura digitale?”. Non era nelle nostre
intenzioni dare una risposta a questa domanda, volevamo
sollevare il problema e abbiamo utilizzato il tono della
provocazione. Quella del “virus” è stata una scelta
funzionale: si comporta come un’ “icona”, è inutile e
controverso . La maggior parte delle persone, comunque, pensa
che ci sia dentro “qualcosa” di vivo.
Come vi rapportate alle politiche di marketing delle case
produttrici di software? Queste, in effetti, affermano in modo
assolutamente perentorio l’equazione virus=danno e così non
lasciano alcun margine alla vostra ricerca artistica.
Compriamo i loro antivirus, siamo loro clienti, e quindi …
ci riservano un trattamento di riguardo.
Col vostro recente progetto DownJones vi siete avventurati
in quella zona di confine, tra la comunicazione pubblicitaria
e la violazione della privacy, che è rappresentata dal “viral
marketing”. Come è possibile difendersi quando il marketing
opera ai limiti della legalità?
Più o meno con gli stessi strumenti, e cioè operando al
limite della legalità, con gli strumenti propri del marketing
virale. Comunque divertirsi è più sano che arrabbiarsi. Per
esempio, l’altro giorno ho risposto a un insistente spamming
di una ditta che voleva vendermi rubinetti. Ne ho “comprati”
500.000 da mittenti differenti generati a caso .
E’ possibile individuare analogie tra le tecniche
mediatiche utilizzate dalla propaganda imperante e quelle di
diffusione di un virus informatico?
L’oggetto del discorso è identico. La diffusione.
Molti artisti hanno utilizzato la net art per demistificare
il falso mito della democraticità del Web. E’ possibile
leggere le vostre realizzazioni come una critica del mito
della trasparenza delle nuove tecnologie?
Ciò che chiamano net art è uno straordinario territorio di
gioco e sperimentazione. “Democraticità, trasparenza” sono
diventati concetti sacri, ma c’è da domandarsi se dietro al
loro mito, dietro la sacralità di tali concetti, si nasconda
ancora una sostanza. Oppure, se dietro il mito, non esista
nulla. Li si sottopone ad ogni forma di manipolazione
possibile per vedere che cosa succede, una specie di debug.
Stiamo per fondare la “Chiesa degli adoratori del protocollo
TCP/IP” . In pochi anni, poche migliaia di adepti potrebbero
dominare il mondo. Ancora non sappiamo quale mondo.
[epidemiC] ha introdotto, insieme al collettivo 01.ORG, il
primo virus informatico alla Biennale di Venezia. Come ci
siete riusciti e come mai avete scelto proprio la Biennale?
Non lo faremo mai più. La Biennale è un luogo umido e
noiosissimo.
Ma biennale.py è un vero e proprio virus, oppure si tratta
di una azione dimostrativa?
All’inizio biennale.py era stato concepito come un virus ad
hoc per la Biennale di Venezia e, pur trattandosi di un virus
vero e proprio, non era stato pensato per essere lanciato sui
computer. Ecco perché era quasi impensabile che Symantec lo
inserisse nel proprio data base. Dunque la situazione era
questa: biennale.py non era stato riconosciuto come vero virus
da Symantec, mentre era stato riconosciuto come opera d’arte
dalla Biennale di Venezia. Adesso, invece, Symantec l’ha
riconosciuto come virus: non come worm , come è stato detto,
ma come virus, perché è un virus vero e proprio pur essendo
del tutto innocuo. Dubito, infatti, che a qualcuno possa aver
recato danno informatico, anche se è un virus a tutti gli
effetti. Ecco dimostrata, in qualche modo, l’ambiguità
dell’oggetto, o meglio l’ambiguità della comunicazione che è
stata fatta intorno all’oggetto. Ciò vale, peraltro, per tutta
l’informatica: vale per i virus ma anche per la figura degli
hackers. Esistono virus buoni e virus cattivi, come esistono
hackers buoni ed hackers cattivi.
Nam June Paik, padre riconosciuto della videoarte,
immaginava un futuro in cui ogni artista avrebbe avuto a
propria disposizione una stazione televisiva personale.
Utilizzando tale paradosso, Paik voleva esprimere l’esigenza
di un’arte relazionale che potesse giungere al pubblico senza
alcuna mediazione istituzionale. Ritenete che la net art possa
rappresentare la realizzazione di quell’ideale?
Sì. Ma non si è ancora capito a che cosa serva l’ideale [di
un’arte relazionale in grado di giungere al pubblico senza
alcuna mediazione istituzionale] incarnato dalla net art. La
provocazione di Paik è stata fonte di riflessioni anche per
noi ed è possibile considerarla alla base di tutta la net art.
Quale è dunque la funzione della net art secondo
[epidemiC]?
Torniamo al discorso fatto prima: esistono virus buoni e
virus cattivi, come esistono hackers buoni e hackers cattivi.
Al di là di questo, però, c’è sempre bisogno della figura
carismatica. Così è stato per gli eroi greci, i santi del
Medioevo cristiano, gli artisti del Rinascimento, le rock
stars degli anni ’60, fino agli hackers dei nostri giorni:
queste figure incarnano quella matrice indispensabile a
costruire un’icona sociale necessaria. Noi abbiamo cominciato,
prima di chiamarci [epidemiC], a riflettere proprio sulla
figura dell’hacker. In particolare, quando fu arrestato Kevin
Metnik, ci fu un grosso scalpore, e la figura dell’hacker
balzò improvvisamente in primo piano su tutti i media. Noi
analizzammo la nascita di questo nuovo eroe, un eroe
maledetto, e ci apparve subito chiaro come la matrice dei
racconti intorno a queste figure era la stessa di cui si
avvalevano i greci per narrare le gesta degli eroi, o i
cristiani per quelle dei loro santi. L’hacker veniva descritto
come un giovane, un po’ sfigato, che ha problemi con la
famiglia o col mondo e che, ad un certo punto, deve andarsene,
per scelta o perché costretto. Poi c’è l’ incontro con un
maestro che gli dice “non sei poi così sfigato” e gli indica
la strada della gloria. E’ la stessa matrice narrativa
utilizzata per gli artisti. Il problema non è tanto se gli
hackers siano artisti o se un virus possa essere un opera
d’arte, o se la net art sia arte più dell’arte che non è net.
Il problema è sempre a che cosa serve quest’icona che la gente
a tutti i costi vuole costruire. La figura è variabile: santo,
eroe, artista, ma la funzione dell’icona è sempre identica,
così come identica è la sua matrice narrativa. Quando parliamo
di net art, parliamo di questo. Tutto il resto è
cianfrusaglie.
La forma narrativa tipica della contemporaneità sembra
essere la ripetizione. Siamo destinati a vivere le nostre
esistenze in un continuo loop sensoriale oppure esiste una via
di fuga?
Tenderei a proporre un revival del presente.
La tecnologia è stata, fino ad oggi, utilizzata
prevalentemente come strumento di controllo. E’ possibile
ricorrere alla tecnologia anche per sfuggire al controllo e
realizzare una grande fuga?
La Chiesa del TCP/IP rivelerà la gloriosa trasmissione dei
vostri dati verso il futuro! Che il Transmission Control
Protocol sia con tutti voi.