Art-ware
Utopie della net art
Valentina Tanni
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Tsunamii.net, Alpha 3.4, 2002. Immagine dalla
performance.
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Yael Kanarek, Terrain, 1995/2000. Immagine
digitale.
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0100101110101101.ORG, %20Transfer, 1999. Sito
Web.
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Josh On and Futurefarmers, Pinga Anti-gmo Game,
2003. Videogioco in Flash.
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Josh On and Futurefarmers, Pinga Anti-gmo Game,
2003. Videogioco in Flash.
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Josh On and Futurefarmers, Pinga Anti-gmo Game,
2003. Videogioco in Flash.
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Cory Arcangel, I Shot Andy Warhol, 2002.
Videogioco, particolare dall’installazione con consolle
Nintendo e TV.
| Nel 1997 l’artista
sloveno Vuk Cosic affermava che, prima della telematica, l’arte era
“solo un sostituto della Rete”, e la storia dell’arte, quindi, era
la storia dell’avvicinamento al Web. Quest’idea, come tutti i
paradossi, nasconde una percentuale di attendibilità. Se è vero che
ogni nuovo medium rappresenta la materializzazione dei sogni delle
generazioni precedenti, come affermava Walter Benjamin negli anni
Trenta a proposito del cinema, l’avvento di Internet sembrò
incarnare molti dei desideri degli artisti dell’ultimo
trentennio.
La codifica binaria dell’informazione, che rende
possibile il suo trasferimento istantaneo in qualunque punto del
globo attraverso le linee telefoniche, ha improvvisamente offerto la
possibilità di divulgare il proprio lavoro, superando ogni barriera
spazio-temporale e by-passando le istituzioni; un’arte svincolavata
non solo da qualunque supporto, ma anche dai luoghi deputati,
ubiqua, pronta a manifestarsi su milioni di schermi sparsi in giro
per il mondo. Aggirare il sistema dell’arte, smaterializzare l’opera
e innescare un processo comunicativo interattivo, abbattendo la
barriera tra artista e pubblico sono utopie che la Net Art sembrava
realizzare. L’immersione nella nuova dimensione virtuale informatica
e la presa di coscienza delle sue implicazioni culturali,
psicologiche e sociali sono stati fenomeni simultanei. Insieme ai
molti web-projects incentrati sull’interazione tra artista e
fruitore, strutturati come piattaforme per la creazione collettiva e
celebranti le meraviglie dell’ipertestualità, nacque, infatti, anche
un filone basato sulla decostruzione del medium con un approccio
critico verso la tendenza omologante e standardizzante dei mezzi di
comunicazione un approccio che sfidava il Pensiero Unico da cultura
aziendale.
Software art
Auto-illustrator può sembrare, a un primo sguardo, un comune
software di grafica. In realtà è stato programmato dal suo autore,
l’inglese Adrian Ward, per reagire in maniera semi-autonoma alle
scelte dell’utente, generando elaborati finali che sono frutto di un
mix bilanciato di controllo e caso, di scelta e auto-generazione
macchinica. Auto-illustrator devìa i percorsi, modifica le opzioni,
decide addirittura di terminare la sessione di lavoro in corso
perché, si giustifica, non è ispirato dagli input che gli forniamo.
Una continua sperimentazione sul software è anche la
missione del misterioso Meta.am, che riunisce sul suo sito una
miriade di ipnotiche tavole digitali, in infinite combinazioni. Ma i
software d’artista sono di ogni tipo: browser, word processor e,
addirittura virus, come dimostrano i lavori di [epidemiC].
Paranoie e sorveglianza
La rivoluzione digitale, aumentando in maniera esponenziale le
possibilità di raccolta, scambio e reperimento delle informazioni,
ha reso la questione della sorveglianza molto scottante, sollevando
il problema della privacy ed evidenziando le implicazioni politiche
del “monitoraggio” sociale. Nel 1988 lo studioso australiano Roger
Clarke, per indicare il nuovo tipo di sorveglianza, coniò il termine
“dataveillance” (data surveillance) definendo un controllo non più
visivo ma basato sulle tracce lasciate dall’uso di strumenti come
carte di credito, telefoni cellulari e reti telematiche.
La
questione, tema della mostra “Ctrl Space” inaugurata nel 2001 allo
ZKM di Karlsruhe, è molto sentita dagli artisti del Web, come
dimostra l’opera Glasnost degli italiani 0100101110101101.ORG, che
consiste nel monitorare e rendere pubblico, in tempo reale, la
maggior quantità di dati reperibili su un individuo nella società
attuale. Ma accanto ai progetti di dichiarato stampo critico c’è
anche chi utilizza il flusso grezzo dei dati “spiati” per produrne
visualizzazioni esteticamente elaborate.
Carnivore,
vincitore della Golden Nica all’ultima edizione di Ars Electronica,
è un progetto del collettivo americano RSG (Radical Software Group),
fondato nel 2000 da Alex Galloway. L’opera è un sistema per
intercettare le informazioni trasmesse via computer. Il software
“spia” s’ispira al famoso DCS1000, usato dall’FBI e ribattezzato
appunto, Carnivore. I dati “sniffati” dal programma, disponibile in
una edizione liberamente scaricabile, sono stati poi messi a
disposizione. Un’operazione di riciclo creativo che evidenzia la
possibilità di tradurre l’informazione binaria da un formato
all’altro, ad esempio trasformando i testi in suoni e immagini con
un semplice programma “filtro”.
Senza titolo
Nato come
divertimento popolare sulla Rete, il fenomeno delle “game patch” è
divenuto terreno di sperimentazione artistica. Tecnicamente, le
patch sono delle aggiunte al codice che modificano in modo più o
meno evidente la superficie dei videogiochi. Nel 1996 il collettivo
belga-olandese Jodi.org realizzava il pionieristico SOD, che
trasformava le cupe ambientazioni del videogame Castle Wolfenstein —
popolato di soldati nazisti — in minimali schermate in bianco e
nero. Da allora il videogame non ha smesso di ispirarli: la loro
ultima produzione si chiama Untitled Game e consiste in un pacchetto
di quattordici patch differenti che smontano e scarnificano
l’estetica dei giochi di partenza, trasformando raffinati scenari 3D
in ambienti bidimensionali vagamente optical.
L’artista
newyorchese Cory Arcangel non limita i suoi interventi al software,
ma manomette anche i componenti fisici dei computer, privilegiando
dispositivi obsoleti e fuori moda, questo perché la loro maggiore
semplicità di concezione ne facilita un uso personale e imprevisto.
“Le configurazioni del software e dell’hardware moderni spesso
guidano il processo creativo” dichiara, “cancellando ogni bisogno di
invenzione”. Il suo ultimo lavoro si chiama I Shot Andy Warhol ed è
un intervento su una cartuccia di un gioco Nintendo, visibile
collegando una consolle a un semplice monitor televisivo. Nella
versione modificata lo scopo del gioco è quello di sparare a diverse
raffigurazioni dell’artista pop evitando altri personaggi che
scorrono sulla schermata tra cui il Papa e alcuni musicisti
rapper.
Storytelling
Un viaggiatore perso in una landa desolata, alla ricerca di un
tesoro che si sposta ma lascia tracce; come unico compagno un
computer portatile, costruito mettendo insieme i resti trovati nel
Silicon Canyon, un futuribile cimitero dell’hardware. Questa la
trama di The World of Awe, progetto ormai pluriennale dell’americana
Yael Kanarek, eccelente esempio di narrazione web-based. L’opera,
servendosi di una versione aggiornata dell’espediente del
manoscritto ritrovato (in questo caso un computer), rinnova l’antico
genere del racconto di viaggio scindendo la narrazione in immagini,
pagine di diario, lettere scritte ad un’amante lontana, il tutto
accompagnato dall’incessante spirare del vento.
Un simile
approccio si riscontra in Flight404 dell’americano Robert Hodgin,
un’hyperfiction basata sulla storia, se non vera, assolutamente
verosimile, di un incidente aereo. Ma tutto è avvolto nel mistero,
cosa è successo realmente? La navigazione si svolge lenta e
meditativa attraverso gli occhi dei passeggeri, attraverso i loro
sogni, i loro pensieri, le loro paure, alimentando dubbi e
riflessioni e rendendo labile il confine tra realtà e immaginazione.
l’insostenibile
Leggerezza di
flash
Idolo polemico di un’intera generazione di net-artisti, impegnati
sul fronte dell’accessibilità e difensori del low-tech, Flash,
diffusissimo software della Macromedia, sembra finalmente essere
stato sdoganato. Accusato in passato di favorire la produzione di
opere estetizzanti e troppo vicine al web-design, oltre che per il
suo carattere di programma “chiuso”, oggi molte opere di Net Art
hanno dimostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, che in questi casi
il mezzo non è il solo messaggio. Il software, cui Lev Manovich
dedica un saggio dove ipotizza la nascita di una “Generazione
Flash”, è considerato per i suoi colori piatti e le sue forme
essenziali la versione contemporanea dell’estetica Pop (Peter
Lunefeld).
Flash è la piattaforma privilegiata, tra gli
altri, delle opere di Josh On and Futurefarmers. Il gruppo
statunitense ha dimostrato con progetti come Theyrule.net, una mappa
interattiva che svela le connessioni di potere delle maggiori
corporations americane e Antiwar-Game, un videogioco pacifista, come
un design raffinato e Flash-based, la capacità di stimolare
riflessioni critiche su argomenti cruciali. Il recentissimo Pinga
Anti-gmo Game (2003), è un videogioco in cui il protagonista si pone
come scopo la difesa delle coltivazioni geneticamnte non
modificate.
Let’s get physical
Tsunamii.net è un duo di Singapore, presente all’ultima
Documenta, con l’opera Alpha 3.4. I due hanno percorso a piedi circa
500 km, la distanza che separa il Binding Brauerei a Kassel
dall’edificio che ospita il server del suo sito, a Kiel. Durante la
loro “passeggiata”, che si è conclusa il 4 luglio, un sistema GPS
(Global Positioning System) e un software scritto per l’occasione
effettuavano una navigazione sul Web che seguiva gli spostamenti
fisici dei due, IP per IP. Alpha 3.4 riporta il virtuale al
materiale trasformando il metaforico Internet Explorer in un reale
“esploratore” e estendendo una navigazione che normalmente dura un
secondo (il tempo di un click) in un’esperienza lunga un mese.
Che il viaggio nello spazio digitale e in quello fisico
rimangano due esperienze diverse ce lo dice anche l’inglese Heath
Bunting, autore di Borderxing Guide, commissionato quest’anno dalla
Tate Gallery. Il sito contiene la documentazione di attraversamenti
di frontiere avvenuti senza interruzioni da parte della polizia. Il
delicato tema dell’immigrazione e della libertà di spostamento viene
affrontato anche attraverso la scelta di rendere il sito web
accessibile solo da una limitata lista di client autorizzati,
situati in luoghi da raggiungere fisicamente (tra cui, naturalmente,
alcune postazioni nella Tate), sfidando così la consueta visione di
Internet come luogo senza barriere.
Valentina Tanni è critica d’arte e
curatrice, dirige la rivista on-line Random. Vive e lavora a
Roma.
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