Un
virus contamina la Biennale Marco Deseriis 20/06/2001
Quando,
all'apertura dei lavori, diversi giornali nazionali
hanno titolato "un virus alla biennale", in pochi hanno
capito, al di là del facile slogan, che cosa ci fosse
dietro. Il virus Biennale.py, presentato nel padiglione
sloveno della 49esima Biennale di Venezia, dai gruppi 0100101110101101.org ed epidemiC, mette il dito su una doppia
rimozione. Da un lato la lunga rimozione sociale
della creatività insita nel mestiere di scrivere codice.
Dall'altro la rimozione tecnica dei virus dagli hard
disk, figlia dell'incapacità di distinguere tra ciò che
è effettivamente dannoso e ciò che intende semplicemente
replicarsi.
L'azione, propagandata dai maestri
della provocazione come 01.org, e messa a punto da un
neonato collettivo di programmatori e ricercatori
milanesi, schiude una riflessione su cosa sia la vera
arte digitale. Rispetto alla cultura dell'effetto
speciale, il virus Biennale.py - scritto in Phyton, un
linguaggio di programmazione multipiattaforma, sempre
più usato nei server - si presenta infatti come un
semplice testo. In grado però di dire e rivelare molto
più di quanto non faccia un'animazione in Flash, opaca e
inaccessibile nei suoi elementi costitutivi. Il virus è
infatti - come ci spiegano Massimo Cerronato e Luca
Campo nella seguente intervista - una sorta di macchina
che prima si legge da sola, e poi si scrive nel corpo di
un ospite.
Intervista in Video ad epidemiC:
Parte
1
Parte
2
|