QUANDO IL VIRUS DIVENTA
EPIDEMIA
[08/04/02]
Intervista con
Luca Lampo di epidemiC Di Snafu e
Vanni Brusadin
English version
Chi è [epidemiC]? Da quanto tempo esiste come gruppo?
Quali sono i principali progetti che avete realizzato?
Alcuni componenti del gruppo stavano raccogliendo materiale sul
codice di programmazione "scritto" per finalità estetiche o
agonistiche: Obfuscated Code Context, Demo 7K e soprattutto Virus:
programmi belli, ma del tutto inutili. L'anno scorso gli
organizzatori di D-I-N-A 01 ci hanno contattato e chiesto di
partecipare alla manifestazione, così è nato il logo [epidemiC].
Presentammo - VIRII VIRUS VIREN VIRY - un manifesto sulla bellezza
del codice sorgente, mentre il filosofo Franco Berardi Bifo
interpretava, come fossero "antichi versi", le quattro pagine del
listato - LoveLetter For You -, più conosciuto come: il virus "I
Love You". L'effetto stupì anche noi, non ci aspettavamo che uno
"script" informatico potesse essere eseguito, in modo efficace,
anche senza un computer.
Il
vostro collettivo è piuttosto ampio, il che è abbastanza inusuale
per la scena della net.art. Puoi spiegare quali sono e come le
diverse competenze interagiscono tra di loro?
E'
abbastanza difficile spiegare le dinamiche interne al gruppo durante
la realizzazione di un progetto perché avviene con modalità sempre
differenti. Spesso caotiche. Di rado ci incontriamo tutti insieme,
spesso capita che le differenti competenze o semplicemente il
coinvolgimento individuale si organizzino per "passaparola" in base
alle necessità del progetto. Spesso non ci si incontra affatto
perchè tutti sbagliano il giorno
dell'appuntamento.
[epidemiC] ha portato, insieme al collettivo 01.ORG, il
primo virus informatico alla Biennale di Venezia. Di cosa si
trattava? Come mai la vostra ricerca artistico-informatica si
concentra su un oggetto praticamente al limite della
legalità?
Biennale.py è un esercizio retorico, un atto di pura forma.
Paragoniamo al lavoro dei poeti, l'opera di coloro che scrivono
codice di programmazione per motivi "estetici" e consideriamo
biennale.py un monumento a loro in quanto cultura nativa, gli
indigeni del linguaggio digitale. La Biennale di Venezia ci sembrava
il luogo adatto per un operazione così romantica di "archeologia del
presente". Il "programma autoriproducente" o virus informatico ci
sembrava esteticamente emblematico sia da un punto di vista formale
di "scrittura del codice", sia per le sue potenzialità di fare e
disfare senso. Non nasce da una necessità utilitaristica, ma è
l'idea di una "forma pura" di programmazione. E in qualche modo, le
leggende e i timori sociali che produce, lo confermano.
Abbiamo proposto a Ferrero di stamparlo sulle scatole dei Mon
Cheri, ma ci hanno risposto che è ancora troppo presto. Recentemente
un quotidiano italiano, per decorare una notizia riguardante la
diffusione di un nuovo virus informatico, anziché usare l'mmagine
dei soliti "mostricciattoli" biomorfi, ha utilizzato alcune stringhe
di biennale.py. La consideriamo una vittoria iconografica.
Benché contenuto e intenzioni di biennale.py siano assolutamente
chiari, nessuno sa esattamente come collocarlo rispetto ai "limiti
della legalità". Non è stata una scelta programmatica, ma ci eravamo
posti il problema. E' permesso scrivere codici "virali", ma non
divulgarli. Sembra un problema di censura letteraria.
La definizione legale di "virus informatico" somiglia a un
manifesto dadaista, la prima cosa che viene in mente leggendola è:
"Windows!". Ma è perfettamente legale che il tuo Windows si schianti
6 volte al giorno... sei stato costretto a comprarlo, quindi è un
suo diritto.
Il virus ha ottenuto una copertura notevole dai media
italiani e internazionali. Credi che questo interesse fosse dovuto
esclusivamente dalla novità rappresentata da un virus in una mostra
mainstream, o c'è qualcosa di diverso? In altri termini, perché un
virus può essere considerato un prodotto artistico e perché avete
tentato di infiltrare questo concetto nel sistema dell'arte?
Un
virus può essere considerato arte tanto quanto l'arte può essere
considerata un virus. Entrambi si riproducono all'interno di un
determinato "ambiente" generando scenari di possibilità
mitopoietiche. Ci siamo limitati a moltiplicare arte*virus, e
l'effetto ottenuto sui media è stato appunto "virale". Un virus
informatico diffuso senza l'ausilio di un computer. Non ci
interessava tanto "infiltrare" un virus nella mainstream art,
sistema operativo piuttosto obsoleto, quanto innescare un meccanismo
virale estetico attraverso l'icona "codice
sorgente".
"Non esistono virus 'buoni'", dicono i produttori di
anti-virus. Dal momento che apparentemente non fa danni, cosa
direbbero dei vostri virus? Perché per biennale.py avete scelto un
linguaggio poco conosciuto al grande pubblico come
python?
Il
virus è uno "straniero" sul nostro computer, una specie di immigrato
senza permesso di soggiorno. Una diversità incontrollabile. La
"propaganda del disastro" hollywoodiana, terminati i pellerossa e i
sovietici, ha dovuto lavorare d'immaginazione: alieni, meteore,
epidemie... I mostri. Poi uno stronzo, questa volta "vero", ha
cercato di vincere l'Oscar rompendo i confini della
rappresentazione.
In questo mondo semplificato bianco e nero, anche il marketing
della "sicurezza" deve adeguarsi: virus=danno, è più facile vendere
l'idea di un anti-virus che "li faccia fuori tutti",
indiscriminatamente. La realtà vuole invece che esistano virus
informatici buoni, cattivi, simpatici, pallosi, stronzi, eleganti,
politici, incazzati, belli, molto belli...
Nessun virus era stato mai scritto in Python, un linguaggio di
programmazione molto usato in ambienti di ricerca scientifica. La
sua elegante sintassi ci ha permesso di risolverlo in 37 righe,
giusta lunghezza per essere diffuso su T-Shirt. Pochi si sono
accorti che il suo funzionamento è narrato in modo ricorsivo nelle
istruzioni: c'è una festa e biennale.py cerca di copulare. Non
contiene istruzioni dannose, rispetta gli ambienti operativi,
infetta solo i programmi scritti in python ed è facile da rimuovere.
Chi l'ha provato, sia su linux che su windows, si è dichiarato
soddisfatto, ma ancora non sappiamo cosa ne pensino i produttori di
anti-virus.
Il vostro ultimo progettto, downJones, è la demo di un virus
per i server Send Mail, che insinua delle brevi frasi nel corpo di
un'e-mail. In altri termini, se il mio provider decide di installare
questo programma, le persone cui spedisco un messaggio potrebbero
riceverne uno leggermente diverso. Da quel che ne sappiamo, questo è
un concetto piuttosto innovativo per il virus di un'e-mail, il cui
scopo è usualmente quello di infettare i files sul mio hard disk e
non di cambiare il significato del messaggio che ricevo. Cosa vi ha
indotto a scrivere un simile virus, come funziona e quali sono i
possibili usi?
Quando i nostri -Programmi di Fiducia- riescono ad "aprire"
e leggere correttamente i documenti di utilizzo quotidiano, tendiamo
per automatismo a credere che i nostri dati siano integri ed
interrogarsi sull'integrità del loro senso sembrerebbe una follia.
Tendiamo a pensare che un file sia corrotto solo se è illeggibile.
Non basta.
downJones è un esperimento elementare sulla possibile corruzione
del senso nei dati. E' un esempio di virus del linguaggio. Consiste
in due semplici funzioni. La prima legge il testo, tentando di
riconoscerne la lingua, la seconda cerca di inserire nel discorso,
in modo sintatticamente credibile, una frase presa a caso da una
lista di sentenze. A proposito, mi presti i tuoi calzini usati?
La nostra Demo di downJones, applicata a un programma web-mailer,
è trasparente, svela il trucco, ma le possibilità d'uso sono
molteplici e gli effetti di una comunicazione così "virata" sono
abbastanza imprevedibili. E' difficile verificare che quello che io
ti mando sia quello che tu ricevi, e la diffusione della "firma
digitale" è ancora lontana. Downjones è un "caso aperto" sia dal
punto di vista tecnico sia da un punto di vista interpretativo.
Sarebbe interessante provarlo per un mesetto su Yahoo o per
qualche anno su tutti gli Office del pianeta. Ma probabilmente è
illegale.
Downjones ricorda il modo in cui circolano le voci o si
creano le leggende metropolitane. Non è curioso che questa funzione
venga svolta da una macchina (che magari potrebbe diventare
addirittura customizzabile)?
Preferiamo lasciare all'immaginazione le modalità d'uso di
una "macchina" moltiplicatrice di passaparola.
Durante le prove del "sendMail" abbiamo invitato alcuni amici ad
usarlo. Era "mascherato", sembrava un comune programma di posta, e
il contenuto delle sentenze abusive aggiunte era molto discreto,
giocato su dubbi e negazioni. Quando abbiamo rivelato il trucco, la
reazione di tutti è stata più o meno: "Ecco cos'era che non capivo!
credevo tu fossi rincoglionito/depresso/incazzato ecc.". E qui viene
il bello: da quel momento hanno cominciato a intercalare
volontariamente il contenuto delle proprie mail con frasi di varia
natura. Senza l'ausilio di downJones. Sperimentazione! "Vediamo cosa
succede, vediamo se se ne accorge!".
Gli 01.ORG ci hanno segnalato un altro aspetto delle possibili
reazioni: "Non ti ho mai scritto una cosa simile! Probabilmente mi
hanno taroccato il programma di posta!". Il software usato come
"capro espiatorio".
Potremmo immaginarlo in "modalità attivista", penso ai leggendari
"linotipisti anarchici" spagnoli e veneziani che usavano il refuso e
altri trucchi tipografici, per "deviare" i contenuti del giornale in
cui lavoravano.
Direi che è più che customizzabile. Noi l'abbiamo grezzamente
provato su una pagina di invio posta, ma downJones è un'idea
semplice che risolvendosi in poche funzioni è facilmente
"implementabile" ovunque si processino dei dati di testo. Dalle
e-mail agli scontrini del supermercato.
Sono solo ipotesi.
Che ci dici del vostro ultimissimo progetto, Antimafia?
Per
questioni di sicurezza, AntiMafia -The Action Sharing- è per ora
coperto da segreto, ma entro la fine di Maggio sarà pubblico.
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