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Un virus si aggira per la rete

I virus informatici come i virus biologici si comportano con il medesimo modus operandi: si attaccano a un "organismo" per rimanerci e installarvi il proprio habitat, talvolta, e in casi più rari, per distruggerlo. I virus, pertanto, cioè tutti i virus, si diffondono rispettando perfettamente le leggi della conservazione della specie e dell’istinto di sopravvivenza, un virus è, anzi vuole ESISTERE, istintivamente e senza mediazioni, lui vuole ESISTERE!

In certi casi la comparazione tra organico e non-organico, o forse in ambito tecnologico è meglio parlare di oltre-organico, può essere spinta ben più avanti, nel senso che se ancora oggi nessuno ha osato classificare le principali famiglie di virus informatici disquisendo tra batteri, microbi e agenti patogeni, pure è vero che la struttura dei virus informatici appare molto differenziata: alcuni presentano una polimorfia che porta a una loro mutazione nel corso del tempo, altri restano latenti per un periodo più o meno lungo, prima di manifestarsi, altri ancora sono in grado di apprendere dagli attacchi per essi distruttivi e difendersi, riuscendo a immunizzare le successive generazioni e rendendo rapidamente obsolete le cure esistenti e i software antivirus (leggi gli antibiotici) superati. Sintomatico appare il fatto che questi siano temi all’ordine del giorno per la scienza medica e, in un percorso candidamente parallelo, siano temi all’ordine del giorno anche per quella informatica.

Come è stato sostenuto per condizioni analoghe di diffusione dei contagi virali tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, i virus si ponevano come una pericolosa minaccia, anzi la manifestazione di un irresolubile conflitto tra health e wealth, cioè tra salute di un "organismo", meglio di un "corpo sociale" e tra la salute e la ricchezza/operosità dello stesso. Va da sé che in questo contesto diamo per acquisita la congruità, anzi l’equivalenza tra il corpo sociale e la rete, assumendoci il rischio di pensare e immaginare che il paradigma foucaultiano con questa assunzione avrebbe dovuto misurarsi e come, e in che altro modo, riusciremmo a immaginare oggi nel 2001 un’attualità più stringente di questa, magistralmente descritta in quel testo guida che rappresenta Sorvegliare e punire (1975), se non nella realtà della rete?

In effetti verso la seconda metà degli anni ’90 la contraddizione tra health e wealth nella rete è giunta al punto di minacciarne la stabilità e il processo, che fino ad allora sembrava in fase di espansione irreversibile. Un "possibile stato di cattiva salute della rete" potrebbe in effetti tradursi (e questo in maniera incommensurabilmente più rapida che in passato e diversamente da come è accaduto per altri media) in un ridimensionamento economico.

Similmente a quello che è accaduto alle colonie africane o asiatiche delle potenze coloniali europee, nelle quali i medici stimavano i danni provocati ai raccolti dalle epidemie di tifo o di febbre gialla, poiché la vita umana era il "combustibile" di suddetta produzione di ricchezza cioè quella delle piantagioni, così oggi nella rete, nell’oltre-organico, le occasioni di guadagno e le aspettative degli ingenti investimenti (il combustibile) che dalla rete partono e dalla rete dipendono, potrebbero venire danneggiati dalla presenza e dalla permanenza di virus (di epidemie) e dalla generalizzata sfiducia dei cybernauti, che a essa conseguirebbe. La malattia e la morte praticamente certa degli schiavi è paragonabile a una "crisi energetica", allo stesso modo se la rete diventa di cattiva qualità, densa di virus, di vermi, di parassiti e di rischi contagianti, sarà lo stesso motore della rete a esserne colpito e a rallentare, subendo qualcosa di simile a una "crisi energetica" di ottocentesca memoria ecco quindi il rendersi di colpo comprensibile il dispiegamento d’impianti giuridici sempre più indirizzati a salvaguardare e garantire gli investimenti fino a oggi realizzati nonché quelli a venire; una soglia del diritto che tuttavia fatica a globalizzarsi e che appare ancora oggi incerta tra due modelli istituzionali: quello statunitense e quello continentale-tedesco. A dire il vero questa incertezza sembra nell’immediato futuro ben più risolta di quanto a prima vista appaia, e a favore del primo modello, che è sempre meno statunitense e sempre più anonimamente capitalista, per meglio dire imperiale, in un finto conflitto dollaro versus euro, aprioristicamente risolto con vari mezzi a favore del primo.

E infatti è e sarà in questo contesto, "imperiale e non imperialistico", che si pongono e si porranno tutti i programmi di pasteurizzazione, d’igienizzazione e di disciplinarizzazione delle rete, a queste garanzie, a queste parole d’ordine s’ispirano/reranno tutti i dispositivi messi fino a oggi in campo, con un apice, quello della sicurezza. Ovviamente si parla di di sicurezza dei pagamenti effettuati con la credit card, risultando questi "legittimi", anzi informati da buoni propositi, quei dispositivi tecnici destinati al profilamento dell’utente (nome, cognome, sesso, indirizzo, età, capacità di spesa, orientamenti di consumo, orientamenti sessuali, culturali, ecc.), poiché volti a "servire meglio il consumatore" (sic!).

Di fronte a tale strategia, di fronte alla banalizzazione (cioè pura diffusione) della rete avvenuta sulla base dello schiacciamento e del piegamento sulla/alla logica dell’e-commerce e della Net-economy che è andata ormai emarginando tutte le altre forme di attività (anche illegale) della rete, risulta inutile in questa sede cercare di commentare i cavalli di troia (nel senso negativo del termine) utilizzati a questo scopo dalla manipolazione e dalla costruzione del "mostro pedofilia", alla progettazione e al lancio di cordate di firme (sull’intifada palestinese, sul processo alle multinazionali farmaceutiche in Sudafrica, sulle donne afgane) che insieme hanno tutte purtroppo contribuito a emarginare e limitare quel gigantesco "nuovo spazio di libertà", che solo poco tempo fa la rete rappresentava.

Fino a questo punto la descrizione risulta relativamente semplice, ma sarà più complesso provare a esaminare la parte "altra", la componente dei soggetti che, in maniera organizzata o in maniera non-organizzata (o forse è meglio dire caotica) si sono opposti ai processi sopra descritti. Solo due anni fa nel 1998, le principali software-house antivirus (una multinazionale su tutti: McAfee) repertoriavano 18.000 virus, tra matrici e derivati; questo numero nel gennaio 2001 era salito a 50.000, calcolando che ogni giorno circa 15 nuovi virus vedevano la luce. Consideriamo tre aspetti: quello geopolitico, quello tecnico e quello sociologico. L’aspetto geopolitico registra il fatto che spesso le iniziative dissenzienti (ostili?) per la rete, nascono in paesi giovani dal punto di vista della maturità della rete e del suo controllo giuridico-istituzionale (India, Russia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Brasile, ecc.), senza per questo nulla togliere alle "comunità storiche di opposizione" sviluppatesi nei paesi avanzati (Olanda, Francia, Germania, Stati Uniti, ecc.) che denotano però una maggiore strutturazione strategica negli obiettivi e nei fini perseguiti. L’aspetto tecnico consiste nel fatto che la rete, essendo strumento e comunità veloce per antonomasia, sia più suscettibile di altre comunità e di altri strumenti mediatici e dunque in linea di principio più vulnerabile agli hype (gonfiamenti mediatici chi vuole legga Grande fratello) o come si dice per la rete negli States un hoax ("Se ricevete una mail dal titolo "Win a holliday" state attenti a non aprirla, potrebbe cancellare il vostro hard-disk. Grazie per avvertire tempestivamente tutti i vostri corrispondenti"). Infine, e questo è l’aspetto più interessante, si è obbligati a rilevare della impossibilità della riconduzione della nascita dei virus informatici a un unico tempo e un unico luogo e dunque a negare quelle conspiracy teories, tanto care alla cultura statunitense. Se i saboteurs erano operai di origine belga che calzavano zoccoli (sabot) e avevano imparato a bloccare le macchine tessili lanciando uno zoccolo nel posto giusto, nel caso della rete il virus, che sbrigativamente compariamo al sabot, non è belga, né tedesco, né russo: è internazionale, è di tutti. Oggi invece la spontaneità, la trasversalità, il nomadismo trovano in soggettività eterogenee un programma viscerale, ma efficace: la creazione e la rielaborazione di virus che le stesse soggettività e individualità diverse perseguono, senza tuttavia parteciparne con un intento e un obiettivo chiaro e stabilito. Come le gang di Los Angeles o il popolo di Seattle stellarmente lontane, ma forse per il fatto di essere stelle molto vicine nella materia costitutiva, sono parte di una comunità: la comunità del rifiuto.

In parecchie leggende urbane si narra di informatici che ingiustamente licenziati (come se potesse esistere un "giusto e fondato licenziamento") hanno lasciato dei "regalini informatici" sul proprio "posto di lavoro" (inevitabimente un PC), che solo molti mesi dopo il loro allontanamento (e senza la possibilità di riconduzione legale a essi) ha fatto quello che doveva fare, cancellato quello che doveva cancellare, contagiare quello che che doveva contagiare ecc. Ma se queste leggende (per lo più vere, in realtà) rimandano nella loro essenzialità ai rapporti di lavoro nel post-taylorismo, la creazione di virus tout-court, se si preferisce gratis, senza scopo senza finalità, si presenta nella peggiore delle ipotesi, come testaggio, come sondaggio del limite della rete, ma nella migliore delle stesse ipotesi essa è invece una forma di contropotere globale, forma generalmente prepolitica, ma che si oppone ai poteri forti, li riequilibra, li scompagina e li riassembla. Si fa strada lentamente, e tra mille contradizioni, l’idea che "un virus non sia semplicemente un virus", ma sia l’irruzione del sociale in ciò che di più sociale esiste: la rete. Un virus, qualunque virus, rappresenta pertanto "l’egemonia del comune" nella rete e della immanenza della sua relativa contraddizione che punta a "tenere aperta e democratica la rete". Iniziativa che si pone oggettivamente contro quelle multinazionali imperiali (qualcuno ha parlato di Microsoft?) sempre più verticali e monopolistiche che coltivano oltre al profitto sulla rete una logica addirittura di dominio. Concludendo, cos’è il comune che accomuna di coloro che creano virus: è il diritto allo scambio non mediato dal denaro, è la non riduzione alla credit card, cioè al livello di semplice consumatore, alla libertà del peer to peer, al diritto all’open source, a Napster, alla musica e alle notizie e in definitiva a un cosciente colettivo non riconducibile all’atto del consumo.


Giampaolo Capisani [epidemiC]





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